Kultur

Quando tornerà ad ­alzarsi il sipario

Aus ff 16 vom Donnerstag, den 16. April 2020

Pippo Delbono in una scena de „La gioia“.
„Siamo costretti a ­confrontarci con una morte che galoppa anche sul benessere e sui ­profitti e ci ritroviamo tutti sullo stesso piano.“ © Luca del Pia
 

Non si sa come e nemmeno quando, ma il teatro ripartirà con più energia di prima. Parola di Pippo Delbono e Alessandro Serra.

di Massimiliano Boschi

Il Coronavirus ha creato problemi ben più gravi e drammatici, ma ha anche fatto saltare due degli spettacoli più attesi della stagione principale del Teatro Stabile di Bolzano: „La Gioia“ di e con Pippo Delbono e „Il costruttore Solness“ di Henrik Ibsen diretto da uno dei registi teatrali più apprezzati degli ultimi anni: Alessandro Serra.

„La Gioia“ sarebbe dovuto andare in scena a metà marzo ed è stato annullato, mentre il dramma di Ibsen, con Umberto Orsini protagonista, avrebbe dovuto debuttare al Comunale di Bolzano il 16 aprile.

È un peccato, non solo per il valore dei due autori e registi. Il primo, dopo i successi ottenuti in Francia era atteso a Zagabria, mentre Alessandro Serra, prima dell’epidemia, era pronto a partire per Hong Kong e per il Barbican Centre di Londra per presentare il suo Macbettu, versione sarda della tragedia di Shakespeare reduce da un successo clamoroso di critica e pubblico lungo tutta la penisola. Ma è un peccato anche perché i due spettacoli saltati avrebbero molto da dirci anche rispetto ai giorni che stiamo vivendo.

Dovendoci privare di quello, non restava che sentire i due registi, anch’essi reclusi e costretti all’isolamento.

La voce di Pippo Delbono trasuda l’evidente fastidio per l’inattività. Si trova confinato a Catania, in un residence, ma non prova nemmeno a lamentarsi: “Siamo tutti dentro a un viaggio molto complicato, tutto è nuovo ed è difficile vederne una fine. Siamo costretti a confrontarci con una morte che galoppa anche sul benessere e sui profitti e ci ritroviamo tutti sullo stesso piano. Mi viene in mente una canzone di Fabrizio De Andrè – La morte verrà all’improvviso. Avrà le tue labbra e i tuoi occhi Ti cop­rirà d’un velo bianco Addormentandosi al tuo fianco. Nell’ozio, nel sonno, in battaglia Verrà senza darti avvisaglia. La morte va a colpo sicuro Non suona il corno né il tamburo. La recita di slancio, poi si ferma quasi scusandosi. “È difficile essere lucidi, questo stare chiusi in casa fa diventare matti. A me, quel che sta succedendo ricorda l’11 settembre, ma se quella data ha cambiato la vita di tutti in peggio, questa epidemia potrebbe anche cambiarla in meglio. Sempre che riusciamo a far tesoro di un’esperienza di questo tipo. Credo che il ricordo di questi giorni potrebbe trasformarsi in qualcosa di positivo nel futuro, sempre che non si voglia dimenticare tutto in fretta, travolti dal desiderio che tutto torni rapidamente come prima. Sarebbe un peccato”.

Delbono non si rassegna e sembra voler trovare qualcosa di positivo anche in questo tempo “paludoso”, tra nebbie che impediscono la vista di un orizzonte e un lento sprofondare verso il fondo: “Se posso citare ancora De Andrè – Dal letame nascono i fiori, dai diamanti non nasce niente. Siamo tutti colpiti da questo virus, da questa morte. Il velo bianco cantato da De Andrè ne La morte copre chiunque, i ricchi e i poveri. Giungono notizie di cessate il fuoco dai fronti di guerra, mentre anche gli episodi di razzismo sembrano affievolirsi. Chissà, forse ci stiamo finalmente rendendo conto che siamo tutti partecipi dello stesso destino”.

Un ottimismo che non può non ­riguardare anche il teatro: “Sono convinto che ripartirà rinvigorito e pieno di energia. Perché lo ha sempre fatto, perché le questioni che stiamo affrontando oggi, la morte, l’incertezza, il desiderio di fuga da una situazione che sembra inaccettabile sono stati al centro di notissime opere teatrali. Da Aspettando Godot al Giardino dei ciliegi, solo per fare due esempi”.

Alessandro Serra, invece, è riuscito a rientrare nella sua casa nel senese, ma non solo per questo mostra un comune spirito positivo rispetto al teatro: “Il teatro è già avvezzo alle prodigiose ripartenze. Si sono fatti spettacoli teatrali ad Auschwitz, e la drammaturgia ha già detto tutto sul contagio, la peste è presente nell’Edipo Re di Sofocle. Ciò che stiamo vivendo è già accaduto ed è già stato raccontato. Si certo abbiamo bisogno di raccontare ciò che è appena avvenuto ma quella è la cronaca. Il teatro deve creare miti, così facendo contribuisce a fondare la realtà. E così sarà. Eravamo a Roma in un Teatro Argentina pieno in ogni ordine, con moltissime persone che non trovavano i biglietti desiderose di assistere al nostro Giardino dei ciliegi. Un privilegio e una grande responsabilità. I teatri torneranno a riempirsi poiché il rito è una necessità innata nell’essere umano. C’è tuttavia una segreta speranza, la speranza che si ripeta ciò che sempre si è verificato negli anni che hanno seguito grandi guerre o epidemie: la ricostruzione ad opera dei migliori, i migliori politici, i migliori economisti, i migliori imprenditori, i migliori artigiani, i migliori artisti, quelle persone dotate di una vocazione profonda che non si ferma di fronte a nulla poiché non si alimenta con il mero interesse egoico ma con una passione smisurata per la propria vocazione”.

Un ottimismo che non deriva dall’incoscienza, ma, al contrario, da una precisa presa di coscienza: “Ora viviamo una vita dolorosa perché la gente muore e molte famiglie si sono improvvisamente ritrovate senza alcuna fonte di reddito. Nel nostro settore è così, per me è così, per i tecnici, gli attori. All’improvviso. E poi questo virus che attacca i più deboli mette in ginocchio l’economia. Tutto ciò ha a che fare con l’ecologia, ma la natura deve essere spietata e lasciare in vita solo i più forti, per come va il mondo temo tuttavia che resteranno a galla solo i più furbi. Eppure è una vita più intensa, la natura si riprende i suoi spazi, l’aria è più pulita, tornano le api, tornano i delfini a Venezia, sarà una primavera di dolore ma anche rigogliosa di vita. Un lutto planetario sfacciatamente pieno di fiori. Eppure è una vita più vita, perché si è costretti a fermarsi, e per chi sa cogliere l’occasione può tornare a contemplare invece di sbirciare fugacemente, è un esercizio di sguardo. È una vita politicamente più sana poiché le meschinità di certi politici che non si fermano neppure di fronte alla morte di migliaia di persone verranno forse smascherate, perché qualcuno inizierà a chiedersi come sarebbero andate le cose se tutti avessero pagato le tasse e se lo stato non avesse svenduto la sanità pubblica alimentando quella privata. È una vita migliore perché qualcuno ricomincerà a leggere libri invece di post. E quando finiranno queste serie in serie si riscopriranno i capolavori della storia del cinema”.

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  • Alessandro Serra

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